Sylvia Plath. A cinquant'anni dalla morte, una tra le voci poetiche più energiche del suo secolo
Sylvia Plath (1932 - 1963) è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Pubblicò la sua prima lirica alla tenera età di soli otto anni. Portavoce della poesia confessionale, e paladina delle tematiche femministe, il suo canto, affetto dal male di vivere, si fa narrazione densa, una lucida confessione, di un travagliato vissuto intimo, laddove il verso, visionario, incalzante, assume maggiore drammaticità tanto più sono gli eventi dolorosi subiti. Più lacerante è la sofferenza più prorompente è l'impatto verso-emotivo, di colui che scrive e del fruitore che ne sa cogliere l'essenza. Nella poesia Ariel, Sylvia Plath cavalca come un'amazzone Ariel, un fantasmagorico cavallo, suo indissolubile compagno dell'allucinanatorio viaggio. Ariel, come lo spiritello di shakespeariana memoria, di ambigua entità sessuale, ma anche come demone portatore di arcani e funesti presagi, l'arcangelo biblico, colui che è preposto alla cura, all'ira e alla creazione. Ma Ariel in ebraico è anche il leone di Dio, da cui “Leonessa di Dio,/ come in una ci evolviamo,/perno di calcagni e ginocchi! -” Il voler bruciare i tempi, prima della sua morte profetizzata, l'incoercibile voglia di cibarsi degli istanti di vita residui, succhiandola sino al midollo, senza privazione alcuna, di quel verso che si fa pregno di significati oscuri della mente e dei sensi “Boccate di un nero dolce sangue,/ombre.”, e dall'essere attratta ad involarsi in territori ancora inesplorati “Qualcos'altro/mi tira su nell'aria/-cosce, capelli;” come una possibile svestizione del fardello dell'esistenza terrena, sino a sentirsi libera e librante “Bianca/godiva mi spoglio-”. In un divenire dell'eterno ritorno, terra-aria, dove tutto si fa movimento creativo e distruttivo, come mero processo naturale che tutto ri-stabilizza, arricchendo il creato, ”E adesso io/ spumeggio al grano/scintillo di mari”, divenendo parte integrante con gli elementi naturali. Tutto è giustificato, anche il suicidio, a fronte di questo prodigioso rinascere e morire ogni volta, “E io/sono la freccia,/la rugiada che vola,/suicida/in una con la spinta/dentro il rosso/occhio cratere del mattino”.
Stasi nel buio. Poi
l’insostanziale azzurro
versarsi di vette e distanze.
Leonessa di Dio,
come in una ci evolviamo,
perno di calcagni e ginocchi! -
La ruga
s’incide e si cancella, sorella
al bruno arco
del collo che non posso serrare,
bacche
occhiodimoro oscuri
lanciano ami -
Boccate di un nero dolce sangue,
ombre.
Qualcos’altro
mi tira su nell’aria -
cosce, capelli;
dai miei calcagni si squama.
Bianca
godiva, mi spoglio -
morte mani, morte stringenze.
E adesso io
spumeggio al grano, scintillio di mari.
Il pianto del bambino
nel muro si liquefà.
E io
sono la freccia,
la rugiada che vola
suicida, in una con la spinta
dentro il rosso
occhio cratere del mattino.
(Sylvia Plath)
Claudia Formiconi
Articolo pubblicato su www.culturadesso.it e www.lideale.info 19/6/2013