Claudia Formiconi
Articolo Grazia Deledda - Un Nobel da non dimenticare

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13 Novembre 2017
Grazia Deledda - Un Nobel da non dimenticare


Se, ipoteticamente, un giorno, si fossero incontrati Dostoevskji, Tolstoj, Flaubert, Zola, con la nostra Grazia Deledda, probabilmente da quel rendez-vous sarebbero emersi degli argomenti molto interessanti.

Grazia Deledda, infatti, con la sua misteriosa natura isolana, (e la Sardegna ne è appunto un palese caso peculiare) laddove superstizioni, preconcetti e colpe da espiare, facenti parte di quell’arcaica forma mentis, dettata più dalla paura che dalla morale, divenne testimone e attenta scrutatrice di determinati atteggiamenti antropici tanto da porsi, essa stessa, con occhio alacremente attento nella veste speciale di antropologo ante litteram tutta al femminile, un ruolo ad hoc in una terra da sempre matriarcale per antonomasia. Il campo d’indagine era ottimale in seno ad un ambiente, quale quello della Sardegna, allora completamente allo stato brado, bucolico ma nello stesso tempo aspro e duro come le pietre che la abitano, in un’Italia che volgeva alla fine del XIX secolo e dove già da tempo in Francia imperversava una sferzante corrente di realismo e naturalismo che si spinse sino agli Urali e che diede un taglio del tutto innovativo alla ricerca e al pensiero letterario. Più attento a determinati comportamenti umani alle loro passioni e istinti irrazionali, una ricerca più mirata, al microscopio, ed è proprio questo modo di scrutare che accomuna i grandi scrittori dell’epoca alla nostra attenta scrittrice che nel 1926 venne insignita (la seconda donna in ordine cronologico, dopo Selma Lagerlof, nel 1909), del premio Nobel:

“Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”. (motivazione del Premio)

Antropologia ed etnologia, erano gli interessi precipui che investirono il pensiero letterario-filosofico del tempo, tutto ciò che gravitava attorno all’uomo, il relazionare l’uomo stesso con l’habitat naturale circostante, per discernerne gli impulsi, il loro modo di agire e reagire; è nota, infatti, l’attenzione che la Deledda stessa nutriva per queste due discipline, soprattutto per l’etnologia, che le consentì di approfondire quelli che erano gli usi, i costumi, le abitudini e la storia della sua terra. Amori impossibili (o meglio proibiti), omicidi, passioni, comportamenti istintuali, colpe, contrizioni e dunque ravvedimento, espiazione, sono gli elementi, che popolano i romanzi moderni dei grandi del naturalismo francesedello spiritualismo russo e della nostra scrittrice: “L’autunno era straordinariamente mite e dolce” (Elias Portolu), e di contro il rimorso di Efix, il servo delle tre sorelle Pintor, per quel delitto perpetrato anni orsono e la necessità impellente dell’espiazione della antica colpa attraverso un probo ed epico comportamento in Canne al vento.

Egualmente il giovane e tormentato studente Raskòlnikov che affonda l’ascia mortale sulla vecchia usuraia, un cancro sociale da estirpare, di Delitto e castigo (Dostoevskji). La forza incoercibile della catarsi del principe Dimitri Nechljudov viene qui a palesarsi quale impellente bisogno di resurrezione dell’anima, divenuta all’improvviso logora e pesante dopo l’ingiusto comportamento assunto, anni addietro, da Dimitri stesso nei confronti di Katjusa Maslova, allora giovane dipendente della nobile casata del principe, trascinandola in un mondo di abomini e amoralità e che per porre rimedio al torto perpetratole si spoglia di ogni bene materiale giurandole amore e abnegazione eterna seguendola sino in Siberia. Infatti, persino la legge, infierì senza pietà contro la poveretta (vittima sin dalla nascita, per tutti coloro che non hanno il diritto di scelta) per un mero errore giudiziario in una società di per se già ammalata dove la magistratura allora assurgeva a ruolo di aguzzino dello stato per mantenere ordine alle cose. Dimitri e Katjusa espieranno, sì, ma ad un caro prezzo. Il principe, pagato il fio della sua colpa (in realtà dell’umanità intera), si ritroverà da solo ma avrà finalmente compreso la vera essenza dell’amore; mentre Katjusa assaporerà per la prima volta, pur rinunciando all’amore di Dimitri che tanto ha amato e ancora ama e senza più condizionamenti esterni (finalmente libera anche di fronte alla legge), il senso della libera scelta, dell’antico libero arbitrio (Resurrezione, Tolstoj) .

L’amore peccaminoso tra Elias e Maddalena, promessa sposa del fratello di lui: “Elias e Maddalena si trovavano soli, silenziosi, stretti, avvolti nel loro triste amore” (Elias Portolu). Analoga la situazione in Teresa Raquin di Zola, dove la relazione adulterina di Thérèse con Laurent, viene qui suggellata con l’assassinio di Camille, marito della donna. Lo stesso scenario si riscontra in Madame Bovary di Flaubert, medesima situazione di adulterio, un altro amore proibito tra la sognatrice Emma e gli scaltri Rodolfo e Leon a scapito dell’ingenuo e amorfo spirito stoico di Charles. Tutte queste storie, naturalmente, hanno come epilogo rimedi drammatici, estremi, per quella amoralità che poteva esser riscattata soltanto con un profondo mea culpa dei rei.    

Dunque la bestia umana di Zola emerge, prende corpo con le molteplici forme istintive sovente distruttrici e delittuose. Cos’è dunque che genera tale comportamento irrazionale? Forse è proprio quella imprescindibile dipendenza che intercorre tra l’uomo e la madre terra a determinare tali atteggiamenti carnali, primitivi, un qualcosa che l’uomo si porta dentro sin dalla nascita, un arcano ben più ancestrale che si perde nella notte dei tempi, il primordiale istinto. Grazia Deledda osserva tutto ciò con estremo interesse rimanendone fortemente attratta e altresì sgomenta. L’atmosfera della sua splendida isola, come ella stessa definisce, un luogo aprico, “l’orizzonte roseo latteo madreperlaceo”“un nuvolo d’un azzurro pallido” si attaglia perfettamente alle molteplici metamorfosi del trascorrere delle stagioni, degli umori del tempo, della natura e dell’uomo stesso come fossero connaturati. “[…] Elias aveva il volto lividognolo e gli occhi cerchiati, verdi, freddi e tristi, come l’acqua dei rigagnoli”, di una terra (qui la Sardegna come paradigma universale ma potrebbe essere una qualsiasi area geografica) a volte paradisiaca e a volte palcoscenico di cataclismi e tragedie umane ma che la nostra scrittrice con una analisi diretta e finemente descrittiva riesce, comunque, a trascendere travalicando quelli che sono i confini dell’Italia. Una sorta di sprovincializzazione, vale a dire un aspetto più universale e antropologico, considerando il fatto che tale area di studio non è altro che una natura selvaggia, primitiva, laddove non sussistono confini territoriali. Sicuramente, una tra le motivazioni del conferimento del Nobel fu senz’altro questa sua visione cosmopolita.

Scrittrice a tutto tondo, narratrice e poetessa, amante dell’arte, Grazia Deledda, in una lettera al critico Luigi Franchi datata Nuoro, ottobre 1891, scriveva: “Adoro l’arte e il mio ideale è di sollevare in alto il nome del mio paese, così mal conosciuto e denigrato al di là dei nostri malinconici mari, ne le terre civili. E lavoro, lavoro tanto, come un uomo, per la mia Idea, e riuscirò, benché sia una piccola personcina pallida ed umile, che ha però lo spirito grande e ardente come gli oscuri occhi andalusi”.                                               

 

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