PER LA POESIA DI CLAUDIA FORMICONI
Aveva detto, una decina di anni fa, di “scrivere versi nudi” Claudia Formiconi e lo aveva dichiarato programmaticamente fin dal titolo della sua seconda raccolta (la prima era del 2013, Contrasti), una raccolta in cui metteva a nudo sentimenti umani e civili di forte intensità, capace di “reinventare il discorso amoroso” in versi dal “rapido e incisivo ritmo”, come diceva Giorgio Barberi Squarotti: il ritratto di una vita governata da una stella polare, l’Amore a 360 gradi, in tutte le sue componenti e gradazioni. Un libro di “versi spregiudicati” e “rime equivoche”, fiammeggianti tra eros di ardente giovinezza e valori civili: un libro “gridato”, insomma, fedele alla Voce interiore della Poesia, nel segno di una felice Palingenesi, della scoperta di una nuova dimensione dovuta all’amore e alla consapevolezza della propria “completezza”, fatta di orgogliosa e matura femminilità e di apertura “nell’essenza e nella forma” in nome di giustizia e libertà attraverso la poesia.
La mia palingenesi
ha sollevato il piede ferito,
ha ricamato la mia anima
con rami di ciliegio in fiore,
ha vestito il mio corpo
di spine pure
di ghiaccio
come la sorgente,
ha corroborato muscoli
fianchi gambe.
Qualche ferita in più
vedono ora
i miei occhi…
Due immagini mi piace segnalarne, che questi due aspetti efficacemente evidenziano. La prima è laddove si rappresenta, tra Creatura ribelle, Sacrificio ed Estasi, come danzante “menade” di un sacro rito orgiastico di piacere offrendosi al “banchetto dell’amore”, a soddisfare nell’abbandono alla sua “estasi” mirabile un umano, troppo umano bisogno.
Estasi
Hai accarezzato il mio sesso,
come raggio di sole,
nella stagione languida
degli abbandoni.
Hai baciato la mia anima,
come frullo del passero
che si libra alla vita.
Ma anche laddove la sua forte sete di libertà e giustizia detta espressioni di vibrante forza e verità, in Lamento di protesta in chiusura del libro.
Val la pena di leggerlo per intero, questo testo, dedicato a “ombre” fraterne di poeti, artisti, “eroi” del pensiero e della Parola:
Il lamento di protesta
(a Federico Garcia Lorca, Martin Luther King, Pablo Picasso)
Il lamento di protesta del poeta
per il compagno ucciso
"a las cinco de la tarde",
in un pianto soffocato
tra i versi del dolore.
Il lamento di protesta del blues Man
per i suoi fratelli
recisi come steli
nei campi di cotone:
ieri come oggi
arrancano i nuovi schiavi,
bruciati dal sole.
Il lamento di protesta del pittore
tra i disegni dell'angoscia
nelle vesti degli ultimi
nel blu della loro nudità.
Il mio lamento di protesta
per tutte le anime squarciate
e derubate nel corpo
all'ombra di un inquieto silenzio planetario.
È un grido, vibrante e teso, un “urlo” che vuole squarciare l’“inquieto silenzio planetario” dell’indifferenza e dell’acquiescenza, per rendere giustizia a vite differenti e maledette di artisti e di poeti raccogliendoli in un grande abbraccio di planetaria solidarietà: contro il silenzio e l’indifferenza, contro ogni tentativo di rimozione e dimenticanza, contro ogni forma di nuovo schiavismo, Claudia sa dar voce a un bisogno ardente di vita e di amore, offrendosi, in nome di tutte le “anime squarciate”, per chiamare a raccolta quanti hanno ancora a cuore le sorti di un mondo di offesi.
Autrice dalla storia già ricca e significativa, Claudia, che è nata a Roma ed ha avuto esperienze diverse (tra collaborazioni con giornali e riviste letterarie e d’arte, oltre che in Rai), è autrice di tre raccolte di versi, della già ricordata Contrasti (Bastogi 2013), di Scrivo versi nudi (Bastogi 2016) e di Stagioni (Edigrafema 2020) e più recentemente ha creato, in memoria del suo compagno e marito Rudy de Cadaval, una Fondazione e un Premio di poesia che recano il suo nome.
Dicevo prima della felice Palingenesi la cui “completezza” già appariva nella seconda raccolta, nei “versi nudi” di ardita emozionante passionalità e spregiudicatezza della seconda raccolta: è in questa stessa linea che si muove e sviluppa la terza raccolta, i 55 testi di Stagioni, che l’autrice riconosce come i frutti dei “migliori anni della sua vita”, quelli in cui si è aperta “alla vita e all’arte”, grazie anche alla presenza di amici dell’anima che le hanno dato il senso di un contatto fecondo con i valori necessari dell’esistenza.
Un testo su tutti, Darsi, per dire questa consapevole maturità, oltre l’”età acerba”, oltre quello che la poetessa russo-brasiliana Clarice Lispector ha definito un “apprendistato di piacere”:
Darsi
Mi concedo alle lusinghe del tempo
mangio il frutto dell’impossibile
colgo la rosa con tutte le spine.
Infrango gl’indugi,
e salto quel sasso.
Al punto più alto, insomma, di un itinerario di meraviglie e di “lusinghe”, l’io di oggi si trova a “darsi” con “spregiudicata” consapevolezza e disponibilità. Senza remore e “indugi”, compie il “salto” delle scelte e si rimette in gioco con felice improntitudine: lascia che si ammiri e colga la “rosa” a dispetto delle “spine”, concedendosi al brivido di piacere e di eternità. Con la sincerità dell’antico poeta del Pervigilium Veneris: “cras amet qui numquam amavit / quique amavit cras amet” (“ami domani chi mai ha amato / e chi ha già amato ancora e sempre ami domani”).
VINCENZO GUARRACINO
PER LA POESIA DI CLAUDIA FORMICONI
Aveva detto, una decina di anni fa, di “scrivere versi nudi” Claudia Formiconi e lo aveva dichiarato programmaticamente fin dal titolo della sua seconda raccolta (la prima era del 2013, Contrasti), una raccolta in cui metteva a nudo sentimenti umani e civili di forte intensità, capace di “reinventare il discorso amoroso” in versi dal “rapido e incisivo ritmo”, come diceva Giorgio Barberi Squarotti: il ritratto di una vita governata da una stella polare, l’Amore a 360 gradi, in tutte le sue componenti e gradazioni. Un libro di “versi spregiudicati” e “rime equivoche”, fiammeggianti tra eros di ardente giovinezza e valori civili: un libro “gridato”, insomma, fedele alla Voce interiore della Poesia, nel segno di una felice Palingenesi, della scoperta di una nuova dimensione dovuta all’amore e alla consapevolezza della propria “completezza”, fatta di orgogliosa e matura femminilità e di apertura “nell’essenza e nella forma” in nome di giustizia e libertà attraverso la poesia.
La mia palingenesi
ha sollevato il piede ferito,
ha ricamato la mia anima
con rami di ciliegio in fiore,
ha vestito il mio corpo
di spine pure
di ghiaccio
come la sorgente,
ha corroborato muscoli
fianchi gambe.
Qualche ferita in più
vedono ora
i miei occhi…
Due immagini mi piace segnalarne, che questi due aspetti efficacemente evidenziano. La prima è laddove si rappresenta, tra Creatura ribelle, Sacrificio ed Estasi, come danzante “menade” di un sacro rito orgiastico di piacere offrendosi al “banchetto dell’amore”, a soddisfare nell’abbandono alla sua “estasi” mirabile un umano, troppo umano bisogno.
Estasi
Hai accarezzato il mio sesso,
come raggio di sole,
nella stagione languida
degli abbandoni.
Hai baciato la mia anima,
come frullo del passero
che si libra alla vita.
Ma anche laddove la sua forte sete di libertà e giustizia detta espressioni di vibrante forza e verità, in Lamento di protesta in chiusura del libro.
Val la pena di leggerlo per intero, questo testo, dedicato a “ombre” fraterne di poeti, artisti, “eroi” del pensiero e della Parola:
Il lamento di protesta
(a Federico Garcia Lorca, Martin Luther King, Pablo Picasso)
Il lamento di protesta del poeta
per il compagno ucciso
"a las cinco de la tarde",
in un pianto soffocato
tra i versi del dolore.
Il lamento di protesta del blues Man
per i suoi fratelli
recisi come steli
nei campi di cotone:
ieri come oggi
arrancano i nuovi schiavi,
bruciati dal sole.
Il lamento di protesta del pittore
tra i disegni dell'angoscia
nelle vesti degli ultimi
nel blu della loro nudità.
Il mio lamento di protesta
per tutte le anime squarciate
e derubate nel corpo
all'ombra di un inquieto silenzio planetario.
È un grido, vibrante e teso, un “urlo” che vuole squarciare l’“inquieto silenzio planetario” dell’indifferenza e dell’acquiescenza, per rendere giustizia a vite differenti e maledette di artisti e di poeti raccogliendoli in un grande abbraccio di planetaria solidarietà: contro il silenzio e l’indifferenza, contro ogni tentativo di rimozione e dimenticanza, contro ogni forma di nuovo schiavismo, Claudia sa dar voce a un bisogno ardente di vita e di amore, offrendosi, in nome di tutte le “anime squarciate”, per chiamare a raccolta quanti hanno ancora a cuore le sorti di un mondo di offesi.
Autrice dalla storia già ricca e significativa, Claudia, che è nata a Roma ed ha avuto esperienze diverse (tra collaborazioni con giornali e riviste letterarie e d’arte, oltre che in Rai), è autrice di tre raccolte di versi, della già ricordata Contrasti (Bastogi 2013), di Scrivo versi nudi (Bastogi 2016) e di Stagioni (Edigrafema 2020) e più recentemente ha creato, in memoria del suo compagno e marito Rudy de Cadaval, un'Associazione Culturale "Giancarlo Campedelli" (in arte Rudy De Cadaval) e un Premio di poesia che recano il suo nome.
Dicevo prima della felice Palingenesi la cui “completezza” già appariva nella seconda raccolta, nei “versi nudi” di ardita emozionante passionalità e spregiudicatezza della seconda raccolta: è in questa stessa linea che si muove e sviluppa la terza raccolta, i 55 testi di Stagioni, che l’autrice riconosce come i frutti dei “migliori anni della sua vita”, quelli in cui si è aperta “alla vita e all’arte”, grazie anche alla presenza di amici dell’anima che le hanno dato il senso di un contatto fecondo con i valori necessari dell’esistenza.
Un testo su tutti, Darsi, per dire questa consapevole maturità, oltre l’”età acerba”, oltre quello che la poetessa russo-brasiliana Clarice Lispector ha definito un “apprendistato di piacere”:
Darsi
Mi concedo alle lusinghe del tempo
mangio il frutto dell’impossibile
colgo la rosa con tutte le spine.
Infrango gl’indugi,
e salto quel sasso.
Al punto più alto, insomma, di un itinerario di meraviglie e di “lusinghe”, l’io di oggi si trova a “darsi” con “spregiudicata” consapevolezza e disponibilità. Senza remore e “indugi”, compie il “salto” delle scelte e si rimette in gioco con felice improntitudine: lascia che si ammiri e colga la “rosa” a dispetto delle “spine”, concedendosi al brivido di piacere e di eternità. Con la sincerità dell’antico poeta del Pervigilium Veneris: “cras amet qui numquam amavit / quique amavit cras amet” (“ami domani chi mai ha amato / e chi ha già amato ancora e sempre ami domani”).
VINCENZO GUARRACINO